La protesta passa (anche) dal web

#direngeziparki, #occupygezi e #gezipark

Sono solamente alcuni degli hastag utilizzati su Twitter per raccontare la protesta di piazza Taksim. Facebook e gli altri social network hanno avuto un ruolo determinante:  le immagini e i video degli utenti hanno fatto il giro del mondo, facendo temere che le autorità potessero bloccare l’accesso ai social media. Sempre tramite Facebook e Twitter, inoltre, i manifestanti in Turchia stanno ricevendo sostegno anche da altri paesi, come la Germania e la Gran Bretagna. Da qui arrivano messaggi come “Occupate Gezi Park, non siete soli!  Le persone in Oxford credono nel vostro diritto di protestare”. Solo pochi canali televisivi turchi, come Halk-TV, hanno invece trasmesso la copertura in diretta degli eventi.

Erdogan è stato paragonato a un sultano, e i manifestanti scesi in piazza nell’ultimo mese hanno scandito a gran voce la parola “dittatore”. Hanno diffuso via Twitter foto, video e parole che raccontassero quanto stava succedendo per le strade di Istanbul: violenze fisiche di ogni genere, manifestazioni pacifiche dissolte con gli idranti della polizia, caricati con liquidi urticanti. Erdogan, apparso in televisione, ha subito provveduto a smentire le voci diffuse via internet.

«I migliori esempi di menzogne possono essere trovate su Twitter. Per me, i social media sono la peggior minaccia per la società».

Alle accuse di essersi trasformato in un sovrano assoluto, Erdogan risponde:

«L’assolutismo non scorre nelle mie vene o non fa parte del mio carattere. Io sono solo un servitore del popolo».