Erdoğan e l’Europa

Percentuale di preferenze nelle due precedenti consultazioni
Era il 2002: Recep Tayyip Erdoğan si presentava in campagna elettorale con il “Partito per la giustizia e lo sviluppo” (Akp, Adalet ve Kalkinma Partisi ). Una novità rispetto agli altri partiti che, come lui, partecipavano alle elezioni: molto più concreto, meno nazionalista, attento alle libertà religiose e culturali. Sostenitore dell’integrazione con l’Europa, passaggio necessario per una vera riforma del Paese. La sua politica ha convinto l’Europa ad avviare, nel 2005, il processo sui negoziati di adesione all’Ue. Adesione come “antidoto allo scontro di civiltà”, sosteneva Erdogan che si presentava come leader di un partito “democratico-mussulmano”.
I rapporti con l’Unione Europea, però, si sono lentamente raffreddati. Per difendere tutte le libertà religiose, l’Ue ha attaccato alcuni simboli dell’islamismo, come il velo delle donne. Nel 2005, poi, la Francia ha imposto alla Turchia trattati di unione doganale vissuti come un affronto dall’antico paese ottomano, una limitazione dell’autorità nazionale.
E anche oggi, dopo gli scontri di piazza Taksim, la situazione non è cambiata. Il premier turco invia a Bruxelles, che aveva condannato la violenza della polizia contro i manifestanti, un messaggio molto forte:

“Non riconosco questo parlamento dell’Unione europea”.

Erdogan anzi, secondo quanto riportato dall’agenzia Anadolu, ricorda che per il Paese le indicazioni non sono vincolanti.

“La Turchia non è un paese la cui agenda politica può essere definita da altri. La Turchia oggi definisce da sé la sua agenda politica”.

Immediate le reazioni delle istituzioni europee.

“Invece di screditare il Parlamento europeo, mi piacerebbe che Erdogan contribuisse a ristabilire la pace nel suo Paese”, risponde il Presidente Martin Schulz.

Il premier turco

“deve sapere – aggiunge – che è la Turchia a volere entrare nell’Unione europea e non viceversa”.

Dal 2005 Ankara negozia l’adesione all’Ue, un percorso che, lascia intendere Schulz, potrebbe essere messo seriamente in discussione da atteggiamenti come questi:

“Chi vuole essere membro dell’Unione europea ha bisogno di adeguarsi ai suoi standard, ciò include un aperto dibattito internazionale sulla ‘governance’ del paese candidato”.

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